giovedì 13 dicembre 2012

Il tempo è un dio breve



“Pierre ha pagato il suo nome. Una roccia da portare con sé. Pierre è mio marito. Per lui io sono qui. È la luce. La luce non può essere nascosta. Per questo io racconto. Per condividere la luce”.


L’ultima opera di Mariapia Veladiano è un romanzo dalla bellezza sconvolgente. La delicatezza di ogni singola parola, l’armonia nella costruzione del periodo e la pacatezza del narrare non ostacolano l’elaborazione di concetti importanti e drammatici.

Ildegarda è una donna che si trova a raccontare la propria vita senza mezzi termini, indagando, parola dopo parola, la natura dell’amore, della paura, del male, della felicità, di Dio.

Il romanzo assume quasi l’aspetto di una preghiera rivolta all’umanità, a quello che ognuno di noi è con il proprio bagaglio di precarietà esistenziali e fragilità emotive. L’idea del raccontare come condivisione di luce e della scrittura come esigenza di sopravvivenza, strumento di comprensione e di elaborazione coscienziale, perfettamente espressa nella frase riportata in apertura, è una delle costanti della scrittura della scrittrice finalista al Premio Strega 2011 con l’opera La vita accanto.

Scrittura e luce, tormento e sollievo, male e bene, in un crescendo di pathos, mai ostentato o estremizzato che tocca l’anima e commuove. Capita così che scorrendo gli occhi lungo le pagine meticolosamente costruite, quasi intarsiate, dalla scrittrice, si resti trafitti da frasi che lasciano il segno e fanno riflettere, offrendo spunti di riflessione mai scontati e, anzi, assolutamente innovativi.

 “Della vita si ha paura a volte, perché non sappiamo se la felicità ci è davvero permessa. O se dobbiamo soprattutto domare il desiderio di felicità che ci riempie. Se la felicità è proprio questo impetuoso ammaestrare. Perché il fiume è sempre anche straripare, le rive su cui camminiamo sono sempre qualcosa che il tempo e le acque possono abbattere”.

L’indagine sulla felicità condotta dalla Veladiano coinvolge e cattura, quella felicità sulla quale spesso ci si interroga e che in “Il tempo è un dio breve” è così vicina eppure così sfuggente, inarrivabile o forse raggiungibile solo con l’accettazione dell’impossibilità di comprendere tutto. L’abbandono, agli altri, all’amore, a Dio anche quando gli altri, l’amore e Dio sembrano essere muti, assenti, distratti: questa potrebbe essere la soluzione L’abbandonarsi e il lasciarsi custodire. Sperare anche quando viene meno la forza di credere. Questo è ciò che fa Ildegarda, confidare negli altri, sperare che il futuro di suo figlio possa essere felice e sereno nonostante tutto, credere che qualcuno lo amerà e si prenderà di cura per sempre. Sperare in una luce di cui non riusciamo a vedere lo splendore ma di cui percepiamo il calore nelle viscere. Cos’è la fede se non la percezione interiore di un amore non scalfibile e che non possiamo vedere?

“Disse che ci era stato fatto un dono e che non si poteva resistere alla vita quando si offre a noi con un disegno tanto evidente. La nostra era stata una seconda nascita, arrivata mentre eravamo nella disperazione e niente più riuscivamo a immaginare davanti a noi. Disse che tutto quanto ci dà felicità viene da Dio e che avere paura della felicità è il più subdolo dei peccati perché dietro un’apparenza di umiltà riveliamo una riserva radicale nei confronti di Dio, mostriamo che non sappiamo credere che ci ama sempre per primo, che la felicità è nelle sue mani e che ce la regala senza applicare contabilità sui meriti le colpe”.

 E’ un inno alla vita, alla gioia e alla felicità, un urlo che squarcia il nostro tradizionale modo di pensare Dio e la fede. Poveri noi, sembrano dire queste parole, noi che riduciamo Dio a un qualcosa di piccolo, che ne facciamo un contabile pronto a calcolare il numero dei nostri peccati e delle nostre buone azioni per concederci o meno il paradiso. Dio è molto più grande del nostro piccolo pensiero, sembrano dire, e non sta lì, come la maggior parte degli uomini, ad ostacolare la felicità altrui.

“La letteratura conosce mote versioni del patto scellerato. Che io sappia l’interlocutore è in ogni caso il diavolo. L’anima in cambio del sapere, come se potesse esserci un sapere senza anima. In realtà il diavolo vince perché provoca la divisione. Fa credere all’uomo che il sapere possa esistere senza l’anima e questa è la morte vera”.

“Il tempo è un dio breve” è la celebrazione del sapere consapevole. Del credere, prima di tutto, negli uomini.






1 commento:

  1. Tante parole e tanti premi attorno ad un concetto fondamentalmente discutibile: "il diavolo non è un'entità a se stante esterna all'essere umano"! Siamo nel 2013! E' tempo di svegliarci tanto da prendere atto di cosa comporti una divulgazione di tale credo, delegando ad esterni il potere che ci riguarda in primis. Il diavolo è un concetto creato dalla mente umana, è blocco energetico, un accumulo di energia fossilizzata, è forma di pensiero cristallizzata nell'inconscio collettivo sempre difficile da mettere in discussione e da trasformare proprio perché alimentate e diffuse per "verità assolute". Lo stesso "Padre Nostro" ci ricorda quanto stò affermando nel suo "Non CI indurre in tentazione", evidenziando che si tratta della stessa fonte a cui rivolgiamo la preghiera e dunque all'Essenza Vitale che ci costituisce tutti. Sarebbe il caso di smetterla di diffondere tale dicerie.. in grado di perpetuare la difficoltà dell'evoluzione umana invece che stimolarci a diventare adulti responsabili di ciò che andiamo prima pensando e poi divulgando. Lisa Sperandio

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