lunedì 17 dicembre 2012

Il senso del "Fango": Jovanotti




Fango” è la canzona che più amo di Jovanotti (Lorenzo Cherubini). L’amo per le sue parole e per i concetti espressi, dipinti, scolpiti. “FANGO” è una parola che amo, Davvero. Penso al termine latino che ne rappresenta l’essenza, HUMUS e non posso fare a meno di riflettere sul fatto che da questa parola ne derivi un’altra di assoluta bellezza: UOMO. Siamo esseri umani, siamo uomini, siamo humus, siamo fango. Il fango se ne sta lì, per terra, nelle pozzanghere, solo, in attesa di essere calpestato, schiacciato, dimenticato eppure non rinuncia mai a urlare al mondo le sue componenti: acqua e terra, che per noi rappresentano la vita. “Io lo so che non sono solo anche quando sono solo”: è tutto qui il senso del nostro esistere, penso, mentre le parole scorrono nella mia testa per raggiungere lo stomaco. Ognuno è solo al mondo ma al contempo non lo è perché il pensiero che ci rende umani e che spesso è altro da noi, ci fa costantemente compagnia. Sappiamo che anche nella solitudine più totale non siamo abbandonati al nulla, al vuoto. Ci basterà pensare al resto dell’umanità che ci circonda, al mondo che pulsa e che vibra fuori dalle mura del nostro dolore per trovare risposta alla nostra sofferenza e capire come curarci con le persone, lasciarci contagiare dalla bellezza dell’essere solidali, stretti, avvinghiati, partecipi dell’anima degli altri. Jovanotti in questa canzone ci parla di un gettarsi sulle cose prima del pensiero, di un sollevarsi per guardare le cose dall’alto e contemplarne la bellezza, la preziosità. Ci parla di scale da salire che vengono paragonate a scivoli perché se è vero che la vita è un percorso in salita è anche vero che il dolore, la sofferenza, la disperazione, possono diventare la via d’accesso per la nostra felicità. Sta qui il senso di tutto, il senso del dolore: trasformare le scale in scivoli, abbracciare la disperazione è farne felicità. Non cercare la fuga dal dolore ma imparare a danzare sul suo dorso. E ancora, il cantautore scrive di pericoli concreti, reali, fagocitanti quali il non riuscire più a percepire la vita e le emozioni, l’incapacità di sentirci l’anima nel corpo, la felicità nelle membra e la voglia di vivere nell’accettazione della nostra prismatica essenza. La vita è un macigno ma noi siamo il vento che lo solleva. E queste parole suonano come un invito a fuggire l’aridità emotiva, la siccità etica. L’incomunicabilità che caratterizza il nostro mondo viene dipinta con poche immagini ma ben precise ed evocative: dialoghi interrotti, mozziconi di pensieri, frammenti di riflessioni. Perché il mondo corre e strilla, ci urla nelle orecchie e rischia di farci confondere, di farci divenire sordi. Tocca a noi, alla nostra forza e alla nostra volontà imparare a cantare con una voce che, seppur non più urlante, sia più forte e persuasiva. L’amore diventa lo strumento, unico e indispensabile che può tenere in vita l’umanità, fungere da cemento tra noi e gli altri, tra noi e la felicità. “E mi confondo con il cielo e con il fango”, conclude poi l’autore. E ha ragione perché il senso di tutto, il senso di quello che siamo, forse sta proprio nell’incontro tra le labbra terra e quelle del cielo. In questo bacio tra miracolo e paura.

“Io lo so che non sono solo
anche quando sono solo
io lo so che non sono solo
io lo so che non sono solo
anche quando sono solo

sotto un cielo di stelle e di satelliti
tra i colpevoli le vittime e i superstiti
un cane abbaia alla luna
un uomo guarda la sua mano
sembra quella di suo padre
quando da bambino
lo prendeva come niente e lo sollevava su
era bello il panorama visto dall'alto
si gettava sulle cose prima del pensiero
la sua mano era piccina ma afferrava il mondo intero
ora la città è un film straniero senza sottotitoli
le scale da salire sono scivoli, scivoli, scivoli
il ghiaccio sulle cose
la tele dice che le strade son pericolose
ma l'unico pericolo che sento veramente
è quello di non riuscire più a sentire niente
il profumo dei fiori l'odore della città
il suono dei motorini il sapore della pizza
le lacrime di una mamma le idee di uno studente
gli incroci possibili in una piazza
di stare con le antenne alzate verso il cielo
io lo so che non sono solo

io lo so che non sono solo
anche quando sono solo
io lo so che non sono solo
e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango
io lo so che non sono solo
anche quando sono solo
io lo so che non sono solo
e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango

la città un film straniero senza sottotitoli
una pentola che cuoce pezzi di dialoghi
come stai quanto costa che ore sono
che succede che si dice chi ci crede
e allora ci si vede
ci si sente soli dalla parte del bersaglio
e diventi un appestato quando fai uno sbaglio
un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te
ma ti guardi intorno e invece non c'è niente
un mondo vecchio che sta insieme solo grazie a quelli che
hanno ancora il coraggio di innamorarsi
e una musica che pompa sangue nelle vene
e che fa venire voglia di svegliarsi e di alzarsi
smettere di lamentarsi
che l'unico pericolo che senti veramente
è quello di non riuscire più a sentire niente
di non riuscire più a sentire niente
il battito di un cuore dentro al petto
la passione che fa crescere un progetto
l'appetito la sete l'evoluzione in atto
l'energia che si scatena in un contatto

io lo so che non sono solo
anche quando sono solo
io lo so che non sono solo
e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango
io lo so che non sono solo
anche quando sono solo
io lo so che non sono solo
e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango
e mi fondo con il cielo e con il fango
e mi fondo con il cielo e con il fango”


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