giovedì 21 maggio 2020

Libertà, cultura, resistenza: un confronto con Dacia Maraini.

          
      In questi mesi di quarantena, paure e smarrimento ho avuto il piacere di confrontarmi con Dacia Maraini sul presente che stiamo vivendo, sulle prospettive future e sulla forza che i libri e le storie possono darci. E' stato un modo per tenerci compagnia anche se a distanza e per dare un significato a quello che è accaduto. Perché ciò che accade non sempre dipende da noi, ma da noi dipende certamente il modo nel quale decidiamo di reagire. Ecco la nostra chiacchierata.






      Cara Dacia, eccoci qui, di nuovo, a confrontarci sul presente che ci circonda, presente nel quale siamo immersi completamente e che sta stravolgendo le nostre vite. Chi l’avrebbe mai detto che da un giorno all’altro ogni certezza sarebbe stata spazzata via in un battito di ciglia. Ti svegli una mattina e scopri che il mondo è in pericolo, che la vita non è più la stessa e si palesa in tutta la sua fragilità, quella fragilità che avevamo dimenticato o forse volutamente ignorato per inseguire un senso di immortalità e onnipotenza. E invece basta un virus a far saltare i collegamenti e le connessioni del nostro mondo, a separarci gli uni dagli altri, a imporci di temere la vicinanza con l’altro e a rinchiuderci dentro casa. Cosa pensi di quanto sta accadendo? Il genere umano è davvero così fragile? Il nostro mondo è davvero così in bilico?

        Il genere umano, come dici, è fragilissimo. Ma siccome ha inventato l’elettricità ed è andato sulla luna, ha pensato di essere onnipotente. Onnipotenza che non va disgiunta però dall’amore per le guerre, tanto è vero che invece di investire saggiamente e  intelligentemente sulla sanità, sulla scuola e sulla ricerca,  ha investito sulle armi e sul consumo. Questo piccolissimo virus a cui nessuno dava importanza, si é dimostrato di una potenza insospettata. In poche settimane ha invaso il mondo, ha fatto malati e morti, di una morte terribile oltre tutto: Uomini  soffocati come pesci tirati fuori dall’acqua. A questo punto possiamo dire che  la natura ci ha dato una importante lezione: non sono gli altri uomini che ci distruggeranno, ma la natura offesa e straziata.  Lo dimostra   un minuscolo microorganismo che  fa più danni di una guerra..
  
           In questi giorni non si può fare a meno di riflettere sulla libertà come se solo adesso che ne siamo stati privati per tutelarci a vicenda ed evitare il propagarsi della pandemia, ne prendessimo atto e ci accorgessimo della sua importanza. Noi scrittori siamo abituati alla solitudine della scrittura e della lettura. Eppure si tratta di una solitudine che affrontiamo con gioia perché sappiamo che subito dopo di essa si aprirà la fase della condivisione, dell’incontro con i lettori, dei viaggi attraverso un mondo affamato di storie e di parole. Quindi cosa è davvero la libertà? Qualcosa che sta fuori o dentro di noi?

    
          La libertà è una parola di cui si abusa, ma non è facile da definire. Non esiste una libertà fine a se stessa. Ogni libertà personale si deve confrontare con la libertà altrui. Se in questo momento ci priviamo della libertà di incontrare gli amici e di viaggiare,  lo facciamo in nome di una  libertà collettiva, quella dal contagio e dalla morte. Quindi la accettiamo volentieri. Non si tratta di una libertà impedita da un dittatore che vuole comandare su tutto, ma di una necessità che capiamo e possiamo condividere. Alla parola libertà si deve abbinare la parola responsabilità. Le due parole non possono essere disgiunte.
    

           In un articolo sul Corriere della sera hai scritto: “Chi legge un libro, lo riscrive. E leggendo mette in moto l’immaginazione, che è il motore più potente del nostro cervello. Solo l’immaginazione ci può far capire la sofferenza altrui, solo l’immaginazione ci permette di affrontare i pericoli di un futuro guerresco, solo l’immaginazione ci può far sentire la bellezza del pensiero e dell’amore”. Le storie ci salvano sempre e ci insegnano ad affrontare ostacoli insormontabili, a evolverci e a divenire migliori. Credi che i libri possano esserci di conforto in questa delicata fase sociale?

        I libri aiutano a potenziare e dare respiro al pensiero. Ripeto: quando uno legge un libro, lo riscrive nella sua mente, con la sua immaginazione. E l’immaginazione, come ho detto e ripeto, è la cosa piu preziosa che abbiamo. L’immaginazione ci fa capire il dolore, il piacere, la Storia del mondo, la memoria , la sofferenza degli altri. Per me l’immaginazione è alla base dell’etica.

       Quali romanzi secondo te potrebbero aiutarci oggi a comprendere meglio l’epocale fenomeno che stiamo affrontando? In quali letture trovare una speranza?

        Non credo che ci siano libri salvifici. La lettura dipende dai bisogni del lettore. Il libro è un luogo di incontro. Non si leggono i libri per dovere , ma per piacere. E l’incontro dipende dai bisogni di chi legge. Se uno ha bisogno di sentire parlare di guerra, leggerà un grande classico sulla guerra. Se ha bisogno di ragionare sull’amore, leggerà un libro che parla di amore, se ha bisogno di ragionare sulla spiritualità, sul senso di paternità, sulla memoria storica, sul razzismo, sugli ideali, ecc, cercherà il libro che lo aiuterà in quel ragionamento. Perciò sono contraria alle classifiche. Si stilano  continuamente cataloghi, panorami storici  dando giudizi  sui libri più importanti.. Piuttosto bisogna aiutare  i lettori a trovare i libri che fanno per loro in quel momento.

        In questo momento il rispetto delle regole è fondamentale. Mai come oggi il genere umano sta comprendendo quanto le leggi siano uno strumento che ci consente di convivere e di sopravvivere, di proteggere i più deboli e di mantenere ordine nel mondo. Non trovi che quello che stiamo vivendo ci dimostri che il rispetto delle regole sia una forma di altruismo e di amore per il prossimo?

       Sono d’accordo. I paesi più civili sono quelli che hanno regole certe, democratiche, a cui la gente crede e si attiene. Le regole aiutano i più deboli. Senza regole si casca sempre nelle mani del più forte sia dal punto di vista economico che di potere politico o militare o burocratico.







       Pochi giorni fa il Papa ha pregato in una Piazza San Pietro deserta e bagnata dalla pioggia. Si è rivolto a Cristo e ha detto che questo non è il tempo del suo giudizio su di noi ma del nostro giudizio su noi stessi. Ho trovato davvero profonda e rivoluzionaria questa affermazione del Papa, come a dire che quello che stiamo vivendo ci impone di fare i conti sulla direzione che come genere umano abbiamo preso. Cosa ne pensi?

      Direi che hai interpretato bene l’importanza del messaggio del Papa. L’immagine dell’uomo solo in una piazza vuota fa capire quanto stia influenzando sulle nostre vite questo disastroso virus pandemico. Sì, dovremmo riflettere con più responsabilità e più sincerità su quello che stiamo facendo a noi stessi inseguendo una cultura del mercato e del consumo.

       L’Italia sembra aver riscoperto una grande solidarietà. Miglia di giovani ragazzi si offrono per operare negli ospedali, tantissime persone rispondono alla chiamata del volontariato per portare la spesa a casa delle persone più bisognose o anche solo per un conforto, per scambiare una parola con un altro essere umano anche solo telefonicamente. Questa solidarietà è forse un fiore in questo deserto che è diventata l’Italia?

       Questa solidarietà, ma aggiungerei la serietà e la responsabilità dei medici e delle infermiere che curano gli ammalati di virus rischiando la vita, dimostrano che una Italia coraggiosa, leale e solidale esiste, anche se è poco visibile. La televisione e la stampa secondo me hanno la colpa di mostrare e mettere in rilievo soprattutto i conflitti fra le parti, le critiche esasperate e personalistiche, piuttosto che la grande rete di solidarietà. Si preferisce godere dello spettacolo dei virologi che si contraddicono e si insultano piuttosto che fare conoscere il lavoro dei medici che senza mostrarsi ogni cinque minuti sullo schermo (fra l’altro ci si chiede ma come fanno a lavorare se stanno sempre in tv?) portano avanti il grande carico della epidemia nel paese.

         L’Italia non si è fermata. Questo ci riempie di orgoglio. Gli insegnanti continuano le loro lezioni via skype, i ragazzi si laureano in videoconferenza, molte persone lavorano tramite email. Forse la tecnologia ci ha salvati in questo frangente catastrofico. Cosa ne pensi? A volte rifletto sul fatto che se questo virus fosse venuto a devastare l’Italia qualche decennio fa, in un mondo meno collegato e tecnologico i danni sarebbero stati ben maggiori e la solitudine molto più accentuata. È forse questo l’aspetto positivo della globalizzazione e del processo comunicativo e tecnologico che spesso viene demonizzato?

       Sì certamente le epidemie dei tempi passati, anche quelli non lontani da noi, ci fanno capire quanto sia importante fare un buon uso della tecnologia. IL problema è che il dominio della tecnologia spesso si presta al feticismo tecnologico – ne fa la spia il linguaggio infarcito di termini inglesi: siccome le macchine parlano inglese, noi ci sentiamo moderni e tecnologizzati usando  termini inglesi.. Le macchine ci fanno sentire potenti, invincibili. Ma la natura ci dimostra che non è così, che i nostri abusi e le nostre devastazioni (foreste bruciate, zone desertificate, ghiacciai sciolti per la crescita della temperatura,  allevamenti intensivi, uso aberrante e pericolosissimo degli anticrittogamici,) ci stanno portando alla distruzione del pianeta.

      Ogni mattina mi sveglio presto, cercando di mantenere il mio solito ritmo di vita, faccio colazione e inizio a studiare chiudendomi nei miei libri di diritto che sai quanto io ami. Poi pranzo e torno allo studio fino a sera inoltrata quando mi concedo la lettura di un romanzo e o di dedicarmi alla scrittura. Questa è la mia nuova routine, forse non molto diversa dalla solita. Ho però scoperto di avere un tempo in più per la scrittura che, per via degli studi, pensavo di non avere più almeno per qualche tempo. Per te come è cambiata invece la vita? Hai trovato un nuovo ritmo, un nuovo equilibrio? Una persona come te, estremamente attiva e continuamente in viaggio per il mondo come affronta questo immobilismo forzato?


       Infatti mi mancano i viaggi, gli incontri con gli studenti delle scuole, coi miei lettori. Non è lo stare chiusa in casa che mi spaventa, lo faccio sempre, per scrivere. Ma di solito alterno questa clausura con i viaggi e gli incontri che ora sono bloccati. Mi manca perfino la “tazzulilla è café “ come diceva Edoardo, che mi permettevo a metà ,mattina . Quella tazzina di caffè è diventato un simbolo di libertà.

      Tu da piccola sei stata rinchiusa in un campo di concentramento in Giappone e hai sperimentato orrore, paura, e privazione della libertà. Noti collegamenti con questa nuova clausura forzata? Non intendo naturalmente dal punto di vista storico perché si tratta due situazioni assolutamente diverse. Eppure percepisco che qualcosa in comune ci sia. Qualcosa che ruota attorno al concetto di libertà e alla capacità di resilienza degli esseri umani. In fondo sappiamo adattarci alle situazioni più inimmaginabili e dure per istinto di sopravvivenza. Sono fuori strada?

       Direi che non si possono paragonare i due momenti. Durante la reclusione nel campo,  oltre alla mancanza di libertà c’era la fame, terribile, disumana, che ci faceva ammalare, perdere i capelli, i denti, ci riempiva di cimici e pulci, e ci indeboliva i muscoli delle gambe a tal punto da non potere più camminare.  In confronto questa piccola reclusione sembra un paradiso: mangiamo forse anche troppo, se stiamo male andiamo in farmacia, possiamo leggere i libri che vogliamo, possiamo dormire quando vogliamo e telefonare o comunicare via internet quanto ci pare. E’ veramente diverso.





      Nel tuo libro su Santa Chiara ci hai parlato della vita della santa, della sua vita di clausura quale massima espressione della libertà. Cosa possiamo imparare dalla vita di Chiara e Francesco per leggere il nostro presente?
      
         Possiamo imparare che la segregazione, se è una scelta di ordine morale e sociale, va benissimo. Se invece ci viene  imposta da un potere politico o poliziesco, può diventare  un incubo. Così come il silenzio: Se è una scelta libera, è il massimo della espressione di spiritualità. Se viene imposto dal potere, è un abuso.

       Che ruolo gioca la paura in questo momento secondo te?

      La paura, che è un ottimo istinto di autodifesa, può diventare un sentimento pericoloso. Scrive William Reich che quando gli uomini sono presi da paura, tornano a uno stato di branco e il branco esige il capo-branco. Questo capo, come dimostrano illustri personaggi storici, può essere dispotico, immorale, cretino, pazzo, non importa, purché sappia cogliere in sé le paure e le aspettative di un popolo impaurito e abbia un minimo di carisma. IN questo momento di paure collettive e di crisi esistenziali ed economiche,  la paura rischia di richiamare il famigerato bisogno del capo- branco. Spero proprio che prevalga il buon senso degli italiani che credo esista e sia più profondo di quanto pensiamo.

         E l’incertezza per il nostro futuro? Si prospetta, a crisi terminata, un Paese distrutto economicamente. Dove trovare un po’ di speranza?

      Spesso dalla distruzione viene fuori una nuova vitalità.  Pensa al dopoguerra che è stato un momento di grandi cambiamenti, di grandi conquiste e grandi ripensamenti. La Costituzione con la sua bellissima tensione etica, è nata nel dopoguerra. Così come la realizzazione di nuove idee e nuove scuole. Ora bisogna rimboccarsi le maniche e puntare sui lavori nuovi. Molti di quelli tradizionali andranno persi, ma probabilmente sarebbe successo lo stesso, solo piu lentamente. Il virus ci fa accelerare la ricostruzione. Il lavoro ci sarà sempre, ma sarà diverso. Il vecchio ufficio con le scartoffie burocratiche finirà. I lavori da remoto aumenteranno e ci vorranno migliaia di tecnici in più, e questo non è lavoro?  Del vecchio impiegato con le mezze maniche - simboliche naturalmente- non  rimarranno che macerie. Bisognerà  imparare a usare la tecnologia nel senso di una vita migliore,  nel segno  della parità di diritti e doveri.

       Credo che siamo di fronte a un momento decisivo per l’Unione europea. Adesso tutti i nodi verranno al pettine e per nodi intendo l’egoismo e l’individualismo di alcuni Paesi più severi e rigorosi, la costruzione dell’Unione su basi economiche e su interessi prettamente finanziari più che culturali e umani. Io sono un grande sostenitore dell’Unione Europea, lo sai bene, sia come persona che come studioso del diritto, ma credo che questa vicenda mondiale sarà una prova decisiva. Adesso vedremo se l’Unione europea è solo un’istituzione economico-giuridica o se davvero è intrisa di solidarietà e di tutti quei valori che hanno spinto i padri fondatori a darle vita. Cosa ne pensi?

       L’Europa c’è e ci sarebbe anche se ogni paese andasse per conto suo. E’ un paradosso, ma voglio dire che le radici culturali sono comuni e ci uniscono anche se non lo vogliamo. Lo sbaglio semmai è di puntare sulla economia anziché sulla cultura che è uno strumento di unificazione molto più profondo e radicale. Benissimo la moneta comune ma non è quello che ci unisce, . Sono invece  le radici linguistiche, religiose, mitologiche  a unirci , nonché la  straordinaria creatività che ha favorito legami profondissimi fra i differenti paesi europei.

       Credi che quello che stiamo vivendo ci aiuterà in futuro a comprendere meglio e a essere più solidali con quei popoli disperati che a lungo hanno cercato salvezza sulle nostre terre, popoli che noi abbiamo trattato con disprezzo e disumanità? Ora che siamo noi ad avere bisogno d’aiuto, a vedere i nostri diritti compressi e la nostra sopravvivenza messa in discussione…

       Naturalmente sul passato non serve piangere, ma bisogna conoscerlo per capire il presente. E’ importante ricordare che i paesi europei hanno sempre preso e portato via dall’Africa i suoi beni più preziosi: Diamanti, rame, petrolio, caffè, caucciù, ecc. Senza mai occuparsi dello sviluppo di quei paesi e del bene dei cittadini. Gli africani possedevano le materie prime ma non disponevano dei mezzi per trasformarle in beni trasportabili e vendibili sul grande mercato internazionale. Le potenze occidentali  li hanno depredati per secoli. Ora non si tratta di vendette, ma di risultati storici che dobbiamo affrontare e chiarire a noi stessi.

       In un’intervista sull’Huffpost hai detto che hai riscoperto “le finestre”. Dal tuo bellissimo terrazzo romanzo hai forse una visuale privilegiata di Roma e della brulicante vita delle persone. Cosa ti restituisce oggi questa visuale?

      Dalle finestre ho scoperto il sentimento di appartenenza. Ho visto tante bandiere italiane e non mi è sembrato che fossero bandiere di becero nazionalismo populista, ma di un rinnovato senso di appartenenza ad un paese in difficoltà con cui ci si identifica per augurarsi il bene futuro. Ho sentito dei ragazzi che cantavano sui balconi e altri che salutavano con un senso di solidarietà  che mi ha allargato il cuore. E’ così che rinasce un paese ,non sulle risse e sulle critiche esasperate.

       Il mercato editoriale è tra i settori più colpiti dalla crisi economica che si sta velocemente e prepotentemente gettando sull’Italia e sul mondo. Credi che il mercato del libro potrà sopravvivere?

       Non credo che il libro scomparirà.  Bisognerà regolare con leggi più giuste la questione delle vendite su rete. La rete non può fare concorrenza facile alle librerie. Le librerie sono importanti per una città, non solo come centri di vendita, ma come luoghi di incontro, di scambio di idee, di conoscenza, e quindi vanno aiutate, magari diminuendo le tasse, favorendo gli orari e i posti di lavoro. E’ chiaro che non si possono eliminare le vendite in rete, che vanno benissimo ma non possiamo  ridurle a una unica fonte di acquisto dovuta alla riduzione dei   costi. Per esempio una iniziativa che è nata con questa reclusione forzata e portata avanti dalle librerie più attente, è stata quella dell’invio a casa dei volumi richiesti. Un invio rapido e poco costoso. Questa può essere una ottima maniera di affrontare il problema. Andare in libreria per la presentazione di un libro che ci piace, va bene. Ma se ho bisogno di un libro e se invece di prendere l’autobus o la macchina ingolfarmi in un traffico mostruoso,  non sapendo  poi dove posteggiare, e posso farmelo venire a casa, scoraggerà dal comprare sulla rete e fra l’altra aiuterà a pulire l’aria delle città.
   
       Una cosa su cui sto riflettendo in questi giorni è sul dramma che probabilmente si sta consumando a livello sociale e familiare. Penso soprattutto alle tante donne vittime di violenza da parte dei propri compagni che si ritrovano adesso a dover vivere ventiquattro ore al giorno sotto lo stesso tetto, essendo così maggiormente esposte alla violenza. Molti equilibri familiari, ci spiega la psicologia, si basavano sul fatto che i coniugi trascorrano parte della giornata nel mondo del lavoro, fuori di casa e distanti l’uno dall’altro. Adesso che si deve stare tutti sotto lo stesso tetto, è l’allarme lanciato dagli psicologi, si rischia un acuirsi delle tensioni e violenze, in un momento per di più nel quale è difficile per una donna chiedere aiuto ed evadere dalla violenza. C’è quindi questo altro dramma, non trovi?

     Non è solo la distanza che tiene legati due coniugi. Assistiamo in effetti a un aumento mostruoso della violenza in famiglia. Parlo del femminicidio. Ci sono uomini che identificano la propria identità virile col possesso della donna che dicono di amare. Più che amore si tratta di un privilegio da padrone: pensano che la donna che hanno sposato o con cui si sono congiunti sia per diritto naturale una proprietà intoccabile. Nel momento in cui la  “loro “ donna decide di andarsene per conto proprio, rivelando una indipendenza di volontà, questi uomini fragili e impauriti entrano in una tale crisi devastante che possono trasformarsi in assassini.

       In un’intervista tv su La 7 hai raccontato che guardandoti allo specchio, in questi giorni, a volte ti viene voglia di parlare con te stessa pur di sottrarti alla solitudine. Non trovi che sia una metafora perfetta di ciò che stiamo vivendo? La filosofia ci spiega che noi esseri umani siamo animali sociali, che abbiamo bisogno degli altri per essere davvero noi stessi. Questa solitudine forzata rischia di cambiarci?

       Infatti. Quella di parlare con se stessi è un segno di sofferenza per questa  forzata solitudine. Come dici giustamente, l’essere umano è un animale sociale e ha bisogno di un rapporto con gli altri. Infatti quello che mi manca in questo giorni è proprio la vicinanza degli amici: una cena in comune, un teatro insieme, una camminata per le strade di Roma.

      Un’ultima domanda: credi che da questa situazione usciremo migliori, peggiori o uguali a prima?

           Dipenderà da noi. Certamente alcuni usciranno migliori e altri peggiori. Dobbiamo solo            sperare che quelli che ne usciranno migliori saranno 

venerdì 10 aprile 2020

IL CIELO COMINCIA DAL BASSO

Dalla quarta di copertina:

Rosa Sirace è una che impara a fiorire nel posto che ha, e fiorendo scrive la sua vita di cose piccole su un'agenda: fogli con sopra il numero del giorno, e la carta che tiene il conto ripete quotidianamente che una storia non ha tutto lo spazio e il tempo che vuole. Così Rosa Sirace disciplina fatti, incontri e volti costringendoli sulle righe, e sceglie di essere sincera su quello che c'è intorno: la verità resiste a ogni poco. Allora la figlia di un Visconte operaio e di una Baronessa casalinga si porta in casa il lettore offrendogli un mondo senza imbrogli. Ma nell'offerta qualcosa brucia e qualcosa profuma, poi c'è il cielo, un azzurro modesto che Rosa Sirace insegue sul messale e impara da sua nonna: Antonia Cristallo. E Rosa tutto il cielo che scava lo appende in alto, a cominciare ogni pagina, e spera che bastino le Scritture a far scintillare la terra rivoltata. "Il cielo comincia dal basso" è un libro che mastica duro cercando il bene, e lo trova.






Sono qui oggi a parlarvi ancora di Sonia Serazzi, un'autrice sorprendente che ho scoperto da poco e che mi ha stregato per la padronanza linguistica, la preziosità della parola e il timbro della sua scrittura. 
La Serazzi, anche in questo romanzo, "Il cielo comincia dal basso" (Rubbettino) dimostra di conoscere a perfezione l'arte della narrazione e della caratterizzazione dei personaggi. Ogni pagina di questa storia trasuda vita e verità tanto che sembra di avere a che fare con persone più che con personaggi. 
L'autrice sa calarsi perfettamente nella realtà che racconta, sa gettare luce su ogni dettaglio, su ogni piega dell'anima, su ogni sussurro del'esistenza umana.
"Subito mi sfilai il maglione: le cuciture ritrovarono il loro posto, e io il mio. E quando ci si rassegna alla verità, si riconosce immediatamente il proprio posto, e non se ne pretende uno diverso, perché l’angolino che ci spetta è tutto il paradiso di cui siamo capaci sulla terra. In cielo magari le cose cambiano", scrive l'autrice fornendo al lettore una riflessione di spiazzante verità e profondità. Perché questo romanzo è così: un susseguirsi di lampi di luce che stravolgono e cambiano nel profondo.
E ancora: "In quel preciso momento sentii d’amare il Sud perché ti lascia campare senza chiederti nulla, come una melanzana viola nei campi rossi di tramonto."
Una grande dichiarazione d'amore per una terra spesso ignorata e maltrattata ma ricca di bellezza e di generosità: quel Sud raccontato dalla Serazzi che affascina e cattura.
Questa scrittrice mette l'anima nelle proprie parole e pone le sue straordinarie abilità al servizio di una letteratura che si incastra alle cose e le redime dalla propria finitudine. Una scrittrice che ha tanto da dire, tanto ha già detto e che certamente tanto ancora dirà.

lunedì 23 marzo 2020

Intervista a Sonia Serazzi autrice de "Non c'è niente a Simbari Crichi" (Rubbettino)


"Non c'è niente a Simbari Crichi" di Sonia Serazzi (Rubbettino) è un'opera di una bellezza spiazzante: è la storia di un posto immaginario, un paese di sogni scassati e di stelle spergiure, metafora di un Sud reale ma allo stesso tempo trasfigurato. L'autrice mescola e offre al pubblico i racconti di personaggi indimenticabili. Marcellina Scatalascio, Bradamante Sirace, Fortunato Sirianni, Pavula, Laria Straniti: sono solo alcuni dei personaggi messi in scena con sapienza e forza dalla scrittrice. Ed è attraverso le loro parole che la vita, l'amore, il dolore vengono raccontati in un alternarsi serrato. Un Sud pulsante e ricco di vita ne viene fuori con tutta la sua irruenza e la sua poeticità.
Ciò che colpisce in questa storia è la spiazzante potenza linguistica dell’autrice che sa tessere parole, scolpire immagini, plasmare la parola come materia viva. Un libro fatto di tante voci narranti e narrate, uno sguardo viscerale sull’anima umana condito di ironia e sagacia. Personaggi indimenticabili che diventano amici uscendo dalla pagina e assumendo sembianze reali, carne e sangue. Personaggi veri che donano al lettore riflessioni sulla vita quotidiana e sul senso più profondo dell’esistenza con tanta semplicità e immediatezza da catturare. Un’esplosione di bellezza, insomma. La Serazzi è una vera scrittrice! Da leggere assolutamente!










Raggiungo l'autrice telefonicamente con un desiderio feroce di intervistarla. Ecco cosa mi ha raccontato con grandissima disponibilità.

1) "Non c'è niente a Simbari Crichi": perché questo titolo?

Mi piaceva giocare con un'espressione che più volte ho sentito ripetere qui al sud, una sorta di ritornello che accompagna i dialoghi di molte persone. Quando raccontiamo il sud usiamo dire spesso "non c'è niente". Questa parola che tornava su tante bocche era una sorta quasi di maledizione che incombeva sulle creature del sud. Io ho voluto giocarci sbattendo in faccia una negazione al lettore, mettendola come titolo, in realtà per smentirla all'interno del testo. A me pare che dentro a Simbari Crichi ci sia un mondo di relazioni, un mondo di affetti, un mondo di sguardi, un mondo di voci. Quindi mi piaceva raccontare questo niente che poi è tantissimo e che è il niente poi che riempie la vita di ognuno di noi.

2) Da Cosa nasce l'idea di questo libro e come è avvenuta la sua scrittura?

In realtà io ho scritto questo libro per far sorridere delle persone che amavo. Non pensavo in realtà alla pubblicazione e quindi al tempo non ho badato. Si è trattato di una scrittura istintiva. Poi ovviamente quando ho pensato di inviarlo a un editore c'ho lavorato, ho ripreso questi testi e li ho limati. In genere sono una persona che scrive molto in testa. Non spreco carta. Non sono di quelle che scrivono e riscrivono e riscrivono. Io scrivo molto in testa e quando prendo penna e carta di solito il bimbo è pronto.

3) Qual è il tuo approccio alla parola e alla scrittura?

La scrittura per me deve germinare dalla vita. Credo nelle parole che vengono fuori da ciò che è vivo e da ciò che si vive.

4) Come sei riuscita a scrivere con uno stile così sapiente e immaginifico, curato e potente e a rendere la diversità delle voci dei tuoi personaggi?

In realtà io le sento davvero le voci e sono molto attenta alle voci che ho attorno. Cerco di cogliere la sfumatura, il ritmo, un tic linguistico di ogni creatura che incontro. Per cui questa ossessività nell'ascolto delle voci reali poi mi rende piuttosto semplice la caratterizzazione quando vado a trasporre queste voci dal punto di vista narrativo. E' un grandissimo istinto per le parole dette, un'attenzione amorevole.

5) Dei vari personaggi ai quali hai dato voci qual è il tuo preferito?

Li amo tutti perché ciascuno di essi è un pezzetto di me. Amo Marcellina per la sua innocenza; amo Laria Straniti per la sua fame d'aria; amo Fortunato Sirianni per questa sua voglia di costruirsi la vita faticando con onestà. Amo ciascuno dei miei personaggi per quello che è capace di dare. Non ne saprei scegliere uno.

6) Qual è il ruolo che gioca la Calabria nella tua scrittura?

Penso che sarebbe uno sgarbo nei confronti della mia terra quello di produrre un frutto che valga solo perché nato qui. Chi scrive deve scrivere per tutti. Le mie radici vivono qui ma spero di fiorire in ogni terra: è un desiderio ambizioso ma credo che tale debba essere quello che muove gli scrittori perché bisogna faticare duramente per ottenerlo.

lunedì 16 marzo 2020

Intervista a Gianluigi Bruni autore de "Luce del nord" (Rubbettino)


Gianluigi Bruni ha scritto un romanzo potente e polifonico, "Luce del nord", edito da Rubbettino. L'autore dimostra una grandissima capacità di caratterizzare le diverse voci narranti della sua opera. L'attenzione per personaggi quasi bordeline, per gli ultimi, coloro che vivono nelle periferie dell'esistenza, rendono questa storia una lettura importante e irrinunciabile. Ogni personaggio appare vero e realistico nella sua complessità e trascina il lettore in un'avventura che si dipana rapida e precisa. La voglia di voltare pagina senza arrestarsi è tanta e questo conferma il grande pregio di questo romanzo che è stato anche uno dei candidati al Premio Strega 2020. Un plauso anche alla casa editrice Rubbettino per aver scovato e pubblicato un romanzo tanto coraggioso. Ecco cosa ci ha raccontato l'autore.



     1)Luce del nord”: perché questo titolo?

La "Luce del Nord" è quella dell'aurora boreale descritta da Nansen nei suoi diari durante le spedizioni in Groenlandia e al Polo. La figura di Nansen, frequentemente citata da Eva, uno dei personaggi del romanzo, rappresenta la pulsione verso il bene,l'attenzione per l'umanità che soffre. Del resto il tema della luce, variamente declinato nel corso dell'opera, fa da contrappunto alla tetra oscurità in cui vivono i tre protagonisti.

2)
Da cosa nasce l’idea di scrivere questo romanzo?

Dall'urgenza di parlare dell'esistenza amara, senza prospettive degli sconfitti e, nello stesso tempo, mostrare come nelle vite più disgraziate possa esserci empatia, solidarietà, amore.

3)
Quanto è durata la fase di scrittura e qual è il suo approccio alla parola come scrittore?

Circa due anni per la prima stesura, tenendo presente che ho lavorato solo nei ritagli di tempo.
La parola è il tramite dinamico per raggiungere e colloquiare  con il lettore, cui l'opera è destinata.




4) Come ha fatto a caratterizzare in modo così preciso le diverse e plurime voci narranti di questo romanzo? Come si fa a dare a ogni voce il suo timbro?

C'è stata una prima fase di documentazione sui vernacoli e i linguaggi dei semicolti ma il grosso del lavoro è stato lo studio  sul campo di lessemi, costrutti, espressioni idiomatiche delle classi popolari.
Nel romanzo abbiamo un personaggio, Frank, che parla un italiano ricco di elementi dialettali; Cristian, che ha un ritardo intellettuale, parla un italiano basico con qualche elemento di linguaggio rurale; Eva, di estrazione sociale modesta ma "intellettuale" è bilingue: si esprime talvolta in un eloquio popolare, a volte utilizza termini più evoluti.
Devo dire, però, che una volta da me individuati e compresi i personaggi, loro stessi hanno scelto la lingua in cui esprimersi.






5)
Ci può raccontare i suoi personaggi?

Sono tre, diversamente connotati, antitetici fra loro: Frank è un vecchio stunt, erotomane e ubriacone, che vive nel ricordo dei film che faceva in gioventù. Per egoismo e stupidità ha rovinato la vita di sua moglie, la donna che per amore ha accettato di dividere la sua vita con lui fino ad esserne distrutta. Cristian è uno spirito semplice, indifeso e gentile, vittima predestinata prima di una famiglia che non lo ama, poi  di una società feroce che lo esclude e discrimina. Eva è lo spirito critico del gruppo, l'unica che ha coscienza del proprio fallimento; allo stesso tempo è il collante e l'anima di quel "menage a trois" fra disgraziati.

6)
 Il suo romanzo è stata presentato al Premio Strega. Come va vissuto la candidatura?

Con soddisfazione; allo stesso tempo sapevo che sarebbe stato estremamente difficile andare avanti nella selezione.

7)
Cosa è per lei la scrittura?

La possibilità di creare e descrivere mondi.


domenica 3 novembre 2019

E SE FOSSE DOMANI di Daniele Sbaraglia


1    1) "E se fosse domani?": puoi spiegarci il perché di questo titolo? Come ti è
venuto in mente e perché l'hai scelto?
Perché credo che il domani ci può portare sempre qualcosa di migliore e che dovremmo  guardare continuamente avanti. La vita passata ormai è trascorsa e non possiamo cambiarla e quindi non dobbiamo rimanere legati a ciò che è stato, magari ad un evento spiacevole o pensare che  se siamo stati sfortunati in alcune occasioni dobbiamo necessariamente convincerci che lo saremo sempre.
Viceversa, se siamo coscienti di essere fortunati e di essere dei campioni, dobbiamo continuare ad allenarci per rimanere tali…

2) Com'è nata l'idea di questo romanzo?
 Dal mio precedente romanzo dal titolo “ Bello e Maledetto” dove il protagonista era un vincente, allora mi sono voluto mettere alla prova nello scrivere di un uomo completamente opposto. A me piace la ricerca e sperimentare cose nuove, da qui l’idea di questo personaggio. Nel protagonista di questa storia, molti lettori hanno riscontrato affinità con loro stessi, forse perché i lineamenti caratteriali lo facevano sembrare più una persona vera con tutte le difficoltà e fragilità che abbiamo tutti, al contrario del protagonista sfacciato  del precedente romanzo.
 
3) Puoi tratteggiarci la storia narrata?
 “E se fosse domani?” potrebbe essere intesa come una storia semplice, quella di un uomo che trascorre la sua vita lasciando scorrere il tempo senza importanza, quasi una vita piatta, senza particolari slanci, una vita che, scorre come un fiume calmo, le cui acque sono quasi stagnanti, e non presentano quella vivacità che dovrebbe essere insita in ogni ambiente.
La storia di Manuel ricalca quella di molti altri uomini e donne che insoddisfatti della loro esistenza  fuggono dalla realtà e vivono sognandone una diversa.
Eppure in questa storia c’è molto altro…
Lo stallo in cui sembrava finire, viene bruscamente spazzato via, e quest’uomo sceglie di cambiar registro…
E se fuggire fosse l’unico modo per ritrovarsi, e per trovare la propria identità e la propria dimensione?
La storia in sé parla di una quotidianità di insoddisfazioni che viene interrotta  da un evento che dà modo al protagonista di rimettersi in gioco e di fare una scelta che lo porta a vivere un nuovo stato di grazia…
            4) Che ruolo gioca il sogno in questo tuo romanzo?
Il sogno è il fulcro attorno al quale gira  tutta la storia. Quanto sono importanti i sogni nella nostra vita? Ce ne sono alcuni che ci tormentano, altri che vorremmo  non finissero mai, a volte sono premonitori, altri ci fanno incontrare persone che purtroppo per diversi motivi non vediamo più.
Il protagonista è un sognatore, sogna una vita che non è riuscito ad avere, o che forse l’ha vissuta realmente, e allora non è un sogno? Vai a capire i sogni?






5) Il protagonista si interroga molto sul significato della vita. Cos'è per te?
Cerco con tutto me stesso di capirne il senso, mi pongo un’infinità di domande, alle quali ancora non ho trovato tutte le risposte. Non posso credere che la vita sia solo alzarsi tutte le mattine,  andare a lavoro, tornare a casa e ripetere così tutti i giorni la stessa routine. Credo che ci sia un significato più alto, non per tutti comprensibile, ecco la mia ricerca, che mi porta a sondare anche l’animo umano delle persone che mi circondano per farmi un’idea critica della vita.

6) Cos'è per te la scrittura e cosa significa narrare? da quanto scrivi?
Io nasco come artista, dipingo dal 1992 quando usavo la pittura per cercare di comunicare qualcosa che avevo dentro, le mie più intime emozioni. Bisogna, però,  essere sempre attenti al mondo che ti circonda e come diceva il mio maestro d’arte: “cogliere i segni”. Alle mostre accompagnavo l’esposizione sempre con uno scritto di presentazione che descriveva la mostra stessa. A volte ricevevo più complimenti per ciò che avevo scritto che per i quadri esposti. Allora, con umiltà mi sono reinventato e mi sono detto che forse quello che provavo lo dovevo scrivere, oltre che dipingere! Durante tutta la mia carriera artistica ho sempre scritto pensieri o chiamiamole poesie e così nel 2013 è nata l’idea di  scrivere, con la pubblicazione del mio primo libro “ River 27 “, che più che un romanzo era appunto una raccolta di pensieri e poesie.

7) Quali sono i tuoi punti di riferimento a livello letterario?
Ma più che un autore o più autori di riferimento, vengo attratto dai titoli delle opere. Mi aggiro per gli scaffali delle librerie finché vengo colpito da un titolo in particolare. Oppure se sui giornali parlano di un libro in particolare allora mi documento e mi incuriosisco al punto tale di volerlo leggere a tutti i costi. Ho letto libri di Paulo Coelho, alcuni  mi sono piaciuti molto e altri meno; ho letto Fabio Volo, Isabel Allende. Ma un segno indelebile mi ha lasciato la lettura di alcuni trattati di Bertrand Russell nello specifico il saggio: “Perché non sono cristiano” e “La conquista della felicità” e poi “L’arte d’amare” e “Fuga dalla libertà” di Erich Fromm.


8) Hai già un'idea per il prossimo romanzo?
Si e ho già buttato giù lo scheletro. L’ispirazione, quella che muove tutto, che un tempo mi spingeva a dipingere, adesso mi porta a scrivere. Il tema sarà ancora più delicato e complesso di quello trattato in “ E se fosse domani?”. Come detto prima mi piace la ricerca e lo studio dei meccanismi umani e di cosa accade durante il corso della nostra vita, che a me piace raccontare in tutti i suoi aspetti e con tutta la sua verità.