Le poesie di Nicola Vacca, scrittore e critico letterario,
sono piccole frecce scoccate da chi della parola vuol fare ricerca di
significato e lotta contro la costrizione di un pensiero becero e limitato.
Ogni componimento tocca una corda del sentire umano e dell’agire sociale e
civile di ognuno di noi, cercando di spiegare a noi stessi cosa siamo, chi
siamo, qual è il nostro compito? Domande comuni e presenti fin dai tempi dei
tempi ma che vengono riproposte in modo innovativo e soprattutto rivestite dall’abito
sempre affascinante e necessario della poesia. Poesia che non si ferma all’anima
ma riesce a giungere dritta al sangue, allo stomaco, alle ossa. Da subito
incontriamo una lirica sul perché dello scrivere, sul motivo per il quale l’uomo
sente il bisogno di estrinsecare il suo sentire dandogli forma e concretezza
quasi a volerne fare uno strumento per toccare materialmente il mondo.
“Si
scrive per riempire un vuoto
ma
anche per trovare un posto
a
quelle parole che non ce l’hanno.
Si
scrive per consegnarsi al nemico
che
ognuno ha dentro
ma
anche per resistere
davanti
al suo ultimo attacco.
Si
scrive soprattutto
per
chiedere scusa
alla
persona che ci sta accanto.
Si
scrive per capire se è vero
che
un lieto fine ci aspetta
al termine della strada.”
La scrittura,
dunque, viene dipinta come in grado non solo di descrivere ma anche di creare la
realtà trovando un posto alle parole e a i concetti che sembrano esserne privi.
E se si pone attenzione al primo significato in greco della parola poesia
resteremo affascinati dal fatto che esso è “fare, creare, produrre”. La poesia,
e Nicola Vacca lo spiega perfettamente, è un fare attivo e concreto, un
incidere sulla vita col desiderio di mutare le cose, svelare i sentimenti e i
moventi del nostro essere uomini. Si scrive poi per fare i conti con i propri
mostri, per affrontarli, vincerli e consegnarsi a essi. Si scrive per spezzare la
catena del male e iniziare a generare bene. Nel leggere le poesie contenute
nell’opera “Almeno un grammo di salvezza” (Edizioni Il Foglio) viene spontaneo
chiedersi il perché del titolo. L’autore provvede a spiegare anche questo con
la lirica che dà il titolo all’intera raccolta.
Almeno
un grammo di salvezza
“Il
cielo è ferito
la
bellezza del mondo
si
tramuta in cenere.
Sotto
i riflettori di questa luce buia
riesce
quasi impossibile convivere
con
un mondo senza padri.
Occhi
freddi negano
il
segno di un bene che soccombe
alla
potenza senza scampo del male.
Almeno
un grammo di salvezza
ci
sarà concesso
dalla preghiera che apre la mente.”
“Almeno un grammo di salvezza” è forse
ciò che ci tiene in vita nonostante il male del mondo, l’obiettivo cui
consapevolmente o meno siamo protesi e che ci permette di non soccombere sotto
il peso del nostro essere precario e malconcio. La preghiera che potrebbe
portarci la salvezza di cui si parla viene definita come una preghiera che apre
la mente, come la preghiera del pensiero dunque, quel pensiero grazie al quale
possiamo emancipare noi stessi dalle tenebre di un pensiero monolitico e
unidirezionale. La preghiera che ci permetterà di riscoprirci parte integrante
di un mondo fatto di infinite verità.
Stilisticamente le poesie di Nicola
Vacca sono protese alla ricerca di un linguaggio lineare e armonico, lontano da
sperimentalismi eccessivi, da fronzoli e virtuosismi che rendono spesso poco
fruibile la poesia. Armonia sempre presente, musicalità non scontata e
immediatezza sono dunque i caratteri principali dello stile dell’autore che nel
suo “Almeno un grammo di salvezza” cerca di dare vita a una forma di poesia che
non sia espressione artistica elitaria e chiusa nella sua torre d’avorio, ma
parola del mondo, delle persone, della vita vera.
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