“Il mio paradiso è deserto” di Teresa ciabatti è un esempio
di vera letteratura che scava nel profondo, fa mettere in discussione certezze
e preconcetti e conduce attraverso il dolore umano, i disagi esistenziali e le
sofferenze di quelli che sono non solo personaggi di una storia ma tipologie di
esseri umani molto più vicini a noi di quanto siamo disposti a credere. Il
romanzo racconta la storia di Attilio Bonifazi, denominato per il suo grande
potere economico e diplomatico, “l’Ottavo re di Roma”, un uomo forte che ha
costruito la sua ricchezza sull’impero dei rifiuti e quella dei componenti
della sua famiglia come Marta, ragazza che ha seri problemi col proprio corpo e
la propria anima e Pietro, che a suo modo vivrà il proprio dramma esistenziale.
Nel leggere il nuovo romanzo della Ciabatti, costruito con uno stile diretto, a
tratti sarcastico, in altri lirico e immediato, non si può non immedesimarsi
totalmente con i personaggi costruiti, vivere attraverso i loro corpi, guardare
attraverso i loro occhi o soffrire il loro dolore. Come ogni vero romanzo l’autrice
non esprime giudizi di valore ma fornisce ipotesi di significato, tentativi di
comprensione di quella storia meravigliosa che è la vita umana. Ogni gesto,
ogni silenzio, incomprensione, sbaglio, orrore, sofferenza diventano un piccolo
passo lungo la strada dell’esistenza, della comprensione e accettazione di se
stessi e del proprio intimo essere. La scoperta di sé e il vivere ciò che si è
e non ciò che gli altri vorrebbero che noi fossimo rappresenta uno dei punti
cruciali della storia. È il caso di Attilio, alle prese con i propri istinti ma
anche di Marta e di Pietro. Su tutto domina la piena consapevolezza che la
realtà è un qualcosa di complesso proprio come la natura umana e l’essere di
ogni persona. La scrittura, le storie, i romanzi, sembra dire Teresa Ciabatti,
sono la celebrazione della complessità e ricchezza dell’esistenza, il promemoria
che ci ricorda quanto vario sia il genere umano e quanto prismatiche le
sfumature dell’agire, la sfera dei sentimenti, delle sofferenze e dell’amore. “Il
mio paradiso è deserto” è anche un romanzo sull’amore. Ognuno dei personaggi
della storia trasuda un intenso bisogno di essere amato, accolto, custodito. Spesso
questo bisogno si scontra con un’incapacità di chiedere, di comunicare i propri
bisogni, di avanzare la propria richiesta d’amore. Ecco allora che si cade, ci
si perde, ci si chiude in se stessi. Ma l’amore, sembra dire ancora l’autrice è
in grado di agire spesso da sé, autonomamente e di guarire tutto. Amore che
guarisce, amore che custodisce e fa vivere. Un romanzo, dunque, dal quale
lasciarsi trasportare, grazie al quale capire un po’ di più le dinamiche umane
e dalla cui bellezza linguistica farsi cullare.
domenica 21 aprile 2013
lunedì 15 aprile 2013
"A viso coperto" di Riccardo Gazzaniga (Einaudi)
“A viso coperto” (Einaudi
Stile libero) di Riccardo Gazzaniga è uno di quei romanzi che ti riconciliano
con la lettura e con la realtà e che aprono un vulnus nella concezione, ben
radicata in me, che almeno nel panorama italiano, le scrittrici sano superiore
agli scrittori. Gazzaniga, che si definisce simpaticamente ma argutamente “operautore
di polizia” è appunto un poliziotto attivo nella caserma di Bolzaneto ed è
stato il vincitore del Premio Calvino 2012 con una storia che analizza
attentamente e poeticamente i rapporti tra forze dell’ordine e ultrà. Al di là
della storia raccontata e dei suoi personaggi, che credo sia giusto che ogni
lettore possa scoprire e amare da sé, ciò che merita attenzione sono l’intento
e il relativo effetto “civili” che quest’opera contiene in sé. “Civile” nel
senso di contributo che la letteratura può dare alla costruzione di una società
presentando le diverse modalità di esistenza presenti, i diversi regimi di
pensiero e di approccio alla vita, alla legge e all’altro. Gazzaniga, lungi dal
voler esprime giudizi di valore o condanne, cerca più che altro di far
comprendere le diverse posizioni in gioco, cercando di aprire spiragli di
significato che siano idonei a far immedesimare il lettore nella realtà da lui
descritta e dunque colmare il vuoto tra “il sentito dire” o l’informazione
appresa passivamente e “l’esperienza diretta” relativamente al mondo degli
stadi e dei complessi rapporti tra poliziotti e ultrà. Ogni lettore potrà così
dismettere il ruolo di spettatore che davanti la tv apprende e lascia scorrere
nei propri occhi immagini, date dai notiziari, di inusitata violenza e viene catapultato
proprio lì, negli stadi, in mezzo alla folla violenta e scalmanata. E tal volta
l’immedesimazione è così potente che si prova paura. Paura di venir feriti, di
rischiare la vita o di lasciarsi dominare e guidare dall’anima della folla
stessa che, come insegna Freud, è spesso dotata di uno spirito proprio e
maggiore rispetto alla volontà dell’individuo preso singolarmente. Il linguaggio
utilizzato da Gazzaniga è forte e incisivo, realista, diretto e immediato sia
nella descrizione delle vite dei singoli e numerosi personaggi, ognuno
assediato dai propri problemi e dalle proprie frustrazioni umane, sia nel
dipingere le scene corali dove il ritmo e la corrosività delle scene imperano
completamente. A tratti si ha l’impressione di leggere qualcosa di Melania
Mazzucco e della sua scrittura immensa e visionaria. E proprio la Mazzuco dice,
riguardo a questo romanzo: “Gazzaniga costruisce una trama compatta e serrata,
trascinando il lettore in un mondo maschile di violenza e frustrazione. Una
storia di sogni infranti e follia che diverte, provoca e coinvolge”. Niente di
meglio che di queste parole per riassumere la potenza narrativa di Riccardo
Gazzaniga e del suo “A viso coperto”. Per chi non si fosse ancora convinto sarà
sufficiente leggere uno stralcio di questo romanzo e lasciarsi conquistare
dallo stile accattivante e, oserei dire, notevolmente “verista”.
“A prescindere da cosa? Dalla vita? Dalla
logica? Dall'essere adulti? Dal fatto che queste sono cazzate?, si chiedeva.
Perché così stanno le cose. Sono questioni che sembrano importanti solo a noi.
Fuori dallo stadio, tra la gente normale, non hanno senso. Forse é perché non hai
figli, Lollo. Oppure perché non ti é mai capitato niente di tanto brutto da
farti detestare la vita. Che una volta passata la rabbia, dopo quei secondi in
cui ti sentì meglio nella mischia, capisci che quel dolore, quel buco dentro
non si riempie mai, per quanta merda inghiotti nella speranza di tapparlo”
L’umanità dei personaggi,
le loro paure, le loro contraddizioni, le loro delusioni, speranze, assenze: un
romanzo corale sulla complessità delle persone.
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