lunedì 2 giugno 2014

IO NON POSSO ESSERE (spettacolo teatrale in cerca di un produttore)


Incipit dello spettacolo teatrale "IO NON POSSO ESSERE" dove denuncio quello che sta accadendo in Russia contro gli omosessuali. Siamo in cerca di un produttore. 




"Non serve a niente gridare quando hai un cordone di persone attorno a te, tenaglia di odio pronto a spezzarti. Non serve a niente piangere davanti a persone con bocche che digrignano i denti in un sorriso beffardo e trasudante cattiveria e sadico divertimento. E non serve a niente pensare agli uomini che nelle tue fantasie solitamente tanto ti eccitano quando te ne devi stare nudo al centro di una stanza, seduto su un letto dalla rete cigolante, e lasciare che occhi spietati di ragazzi e ragazze picchino il tuo corpo prima ancora che a farlo siano le mani e i piedi. Ci puoi provare, con impegno, attenzione, con tutto te stesso ma puoi essere certo che non riuscirai ad avere alcuna erezione. Anche se è quello che vogliono, anche se ti urlano di fartelo venire duro perché le loro menti sfondate vogliono vedere come si masturba un frocio, anche se ogni volta che fallisci e ti ritrovi a stringeretra le mani un cazzo molle e rattrappito dalla paura, ti menano un ceffone in pieno volto o ti sputano addosso. Non riesci. Hai il cuore che perde battiti, che pulsa come un matto e si scontra coi polmoni, collide con lo stomaco, si ferisce arrivandoti in bocca e sfregando contro i denti: sembra un deportato che per sfuggire all’orrore di un campo di concentramento si getta sul filo spinato sperando di morire prima, subito, adesso. E tu vorresti morderlo quel cuore, tuo muscolo della vita, vorresti dilaniarlo, farlo arrestare. Tanto a cosa ti serve un cuore che ti fa vivere se la tua vita è feccia del mondo, merda di topo, sbaglio della natura, aborto di Dio? Vorresti crepare subito e trovare pace.E forse, alla fine, ce la farai a morire, chiuderai gli occhi pesti di botte e morirai in santa pace. Ma la morte devi meritartela, conquistartela. Devi attendere che sopraggiunga, assorbire come una spugna gli schiaffi, i pugni, i calci nel costato, sulla schiena, sui reni. Devi startene accovacciato al pavimento, posizione fetale come quando sei venuto al mondo, quella migliore forse per lasciarlo. Devi accogliere sputi in faccia e seguire il percorso della saliva che dalla fronte cola sugli occhi, sulle labbra, lungo il mento. Devi ascoltare le motivazioni per le quali i giustizieri hanno deciso di fare quello che ti stanno facendo: sei gay e tu devi sapere che meriti la morte. Devi rispondere “sì, credo sia giusto”, devi sentirti una merda perversa, dismessa, riversa a terra come una carogna rifiutata anche dagli avvoltoi, devi renderti conto di essere qualcosa che infetta ed inquina il mondo, qualcosa che fa ribrezzo, tocca lo stomaco, offende la mente, ferisce gli occhi. Sai più o meno come vanno queste cose perché succedono spesso e nessuno fa nulla per nasconderle. Sei in Russia, le autorità sono consenzienti, è vietata la propaganda omosessuale, se denunci una violenza alla polizia ti viene risposto con volto pieno di stupore “di cosa ti meravigli? Sei omosessuale, è normale che ti picchino. Chi dovremmo denunciare?”. Si verifica sempre questa strana inversione tra vittima e carnefice. La vittima diventa colpevole della violenza subita come accade quando una donna stuprata è chiamata a dimostrare di non essere stata consenziente al rapporto sessuale. Dicono che sia contro la tradizione essere omosessuali ma io credo che la modernità consista nel rompere le armonie cui la tradizione stessa ci ha abituato e che ci ritroviamo a vivere passivamente. Il senso del progresso sta nel guardare in faccia il nostro vivere, toccarne le asprezze e gli spigoli senza paura fino a farne nuova armonia. L’armonia sta dentro di noi, nel nostro modo di leggere la realtà dell’umanità e di amarla. Altrimenti la tradizione ci ammazza. Qui se ti trovano per strada, ti si scagliano contro. Avanzano come un plotone pronto a sfondare il reggimento nemico, fedele a una guerra contro avversari nauseabondi da annientare. Ti chiudono in un angolo, ti menano schiaffi, ti fanno cadere, ti prendono a calci, ti calpestano con la punta dura dei loro stivali, ti sollevano e ti scaraventano a terra. Ti afferrano per il collo col braccio e ti tirano giù. Stringono, stringono forte fino a soffocarti e ti fanno sbattere il muso contro staccionate di legno o ringhiere di ferro e tu ti ritrovi con la bocca sanguinante, i denti rotti, le gengive sfondate e la lingua dilaniata a piangere e gemere e urlare e supplicare e pregare mentre sei in una zona pubblica in pieno giorno e ci sono tante persone, passanti, studenti, madri con in grembo i propri figli, anziani che passeggiano con il proprio cane e chiunque potrebbe fare qualcosa, la polizia potrebbe fare qualcosa. E invece nessuno fa nulla e il sole, alto nel cielo, illumina la scena come unocchio di bue sparato su teatranti abili ed esperti. Ti senti una carogna, vieni trascinato e menato a destra e a manca, ti strappano i vestiti, sembri un mendicante, ti tengono per la calotta, ti afferrano i capelli. Ti ritrovi riverso in terra, precipiti senza troppo dolore perché l’erba è alta ma il sollievo per il non doloroso atterraggio svanisce, immediatamente, coperto dal peso di un piede sullo sterno e un altro sulla bocca dello stomaco. Farfugli parole, blateri, vaneggi, chissà cosa dici. Forse non sono discorsi di senso compiuto. Sono solo parole rivestite di sgomento e terrore vomitate insieme all’anima. Il fatto è che queste violenze hanno ormai legittimazione pubblica."