domenica 13 gennaio 2013

"Almeno un grammo di salvezza" di Nicola Vacca


Le poesie di Nicola Vacca, scrittore e critico letterario, sono piccole frecce scoccate da chi della parola vuol fare ricerca di significato e lotta contro la costrizione di un pensiero becero e limitato. Ogni componimento tocca una corda del sentire umano e dell’agire sociale e civile di ognuno di noi, cercando di spiegare a noi stessi cosa siamo, chi siamo, qual è il nostro compito? Domande comuni e presenti fin dai tempi dei tempi ma che vengono riproposte in modo innovativo e soprattutto rivestite dall’abito sempre affascinante e necessario della poesia. Poesia che non si ferma all’anima ma riesce a giungere dritta al sangue, allo stomaco, alle ossa. Da subito incontriamo una lirica sul perché dello scrivere, sul motivo per il quale l’uomo sente il bisogno di estrinsecare il suo sentire dandogli forma e concretezza quasi a volerne fare uno strumento per toccare materialmente il mondo.

“Si scrive per riempire un vuoto
ma anche per trovare un posto
a quelle parole che non ce l’hanno.

Si scrive per consegnarsi al nemico
che ognuno ha dentro
ma anche per resistere
davanti al suo ultimo attacco.

Si scrive soprattutto
per chiedere scusa
alla persona che ci sta accanto.

Si scrive per capire se è vero
che un lieto fine ci aspetta
al termine della strada.

La scrittura, dunque, viene dipinta come in grado non solo di descrivere ma anche di creare la realtà trovando un posto alle parole e a i concetti che sembrano esserne privi. E se si pone attenzione al primo significato in greco della parola poesia resteremo affascinati dal fatto che esso è “fare, creare, produrre”. La poesia, e Nicola Vacca lo spiega perfettamente, è un fare attivo e concreto, un incidere sulla vita col desiderio di mutare le cose, svelare i sentimenti e i moventi del nostro essere uomini. Si scrive poi per fare i conti con i propri mostri, per affrontarli, vincerli e consegnarsi a essi. Si scrive per spezzare la catena del male e iniziare a generare bene. Nel leggere le poesie contenute nell’opera “Almeno un grammo di salvezza” (Edizioni Il Foglio) viene spontaneo chiedersi il perché del titolo. L’autore provvede a spiegare anche questo con la lirica che dà il titolo all’intera raccolta.
Almeno un grammo di salvezza

“Il cielo è ferito
la bellezza del mondo
si tramuta in cenere.
Sotto i riflettori di questa luce buia
riesce quasi impossibile convivere
con un mondo senza padri.
Occhi freddi negano
il segno di un bene che soccombe
alla potenza senza scampo del male.
Almeno un grammo di salvezza
ci sarà concesso
dalla preghiera che apre la mente.”

“Almeno un grammo di salvezza” è forse ciò che ci tiene in vita nonostante il male del mondo, l’obiettivo cui consapevolmente o meno siamo protesi e che ci permette di non soccombere sotto il peso del nostro essere precario e malconcio. La preghiera che potrebbe portarci la salvezza di cui si parla viene definita come una preghiera che apre la mente, come la preghiera del pensiero dunque, quel pensiero grazie al quale possiamo emancipare noi stessi dalle tenebre di un pensiero monolitico e unidirezionale. La preghiera che ci permetterà di riscoprirci parte integrante di un mondo fatto di infinite verità.

Stilisticamente le poesie di Nicola Vacca sono protese alla ricerca di un linguaggio lineare e armonico, lontano da sperimentalismi eccessivi, da fronzoli e virtuosismi che rendono spesso poco fruibile la poesia. Armonia sempre presente, musicalità non scontata e immediatezza sono dunque i caratteri principali dello stile dell’autore che nel suo “Almeno un grammo di salvezza” cerca di dare vita a una forma di poesia che non sia espressione artistica elitaria e chiusa nella sua torre d’avorio, ma parola del mondo, delle persone, della vita vera.